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Sotto il regime della precarietà – Bring Your Own Device (if you want to survive…)

 

di GIORGIO GRIZIOTTI

In vista di fine d’anno, fase cruciale del consumismo, le corporation del capitalismo digitale ci bombardano d’annunci e lanci di nuovi dispositivi tecnologici mobili a colpi di campagne promozionali da miliardi di dollari[i].

La dinamica di crescita del traffico internet mobile[ii], oggi al 12%, conferma l’avvento del Bioipermedia[iii], l’ambiente in cui interagiscono corpi vite, macchine, reti, codici, dati, territorio e tempo.

I devices, quali smartphone, tablet, reader o ultrabook sono gli strumenti fisici di mediazione dell’homo cognitivus con questo nuovo ambiente. Come le altre componenti del Bioipermedia, con cui entrano in pulsazioni crescenti, essi sono in continuo mutamento, si ibridano e fanno germogliare articolazioni e sinapsi tecnosensoriali sempre nuove.

Come si modificano in questo nuovo contesto i rapporti di produzione, quelli di potere e le relazioni fra le persone? Si tratta di un’ulteriore trasformazione strutturale che prelude ad una evoluzione della società dell’informazione[iv]?

Le campagne marketing e comunicazione ci proiettano i devices in immagine di merce-feticcio che caratterizza una nuova fase del capitalismo cognitivo. La stessa operazione fatta precedentemente con l’automobile nella seconda parte dell’era industriale e poi con i personal computers (PC). La Finanza, impietosa ed ossessiva garante della competitività, sancisce l’operazione ed oggi Apple ha preso il posto che fu di General Motors o d’Exxon. Per quanto?

Già nel decennio precedente la telefonia mobile aveva stabilito record assoluti di volumi e di rapidità di diffusione d’una tecnologia. Nemmeno Steve Jobs, nella sua maniacale ricerca di Forme Pure per stimolare nei suoi clienti il sentimento d’appartenenza ad una élite, poteva immaginare che i dispositivi mobili diventassero la sofisticata e diffusa chiave della sociétà bioipermediatica.

La sfera d’uso dei devices, più vicina alla mobilità dell’auto che alla sedentarietà dei PC, impone il nuovo paradigma delle applicazioni. Le centinaia di migliaia d’Apps sorte in pochi anni e disponibili sui devices prendono origine dall’incrocio di due fattori:

- l’esistenza d’un general intellect diffuso, che essendosi forgiato nel calderone della produzione comune del software, dispone delle competenze operative per sviluppare su piattaforme mobili fondate su un freeware “privatizzato” dai vari Apple, Google Android etc.

- il desiderio e la necessità di disporre in mobilità d’unità funzionali semplici e rapide che svolgano un compito definito.

Il fenomeno delle Apps viene istanziato ed istituzionalizzato per la prima volta nell’App Store, un recinto in cui Apple si autorizza il diritto di vita e morte prelevando, fra l’altro, rendita sul lavoro della comunità degli sviluppatori[v]. Apple gioca spesso sull’ambiguità d’una propaganda che esalta lo spirito “rivoluzionario” dell’innovazione tecnologica, come nel famoso spot ispirato al 1984 Orwelliano che lancia il MacIntosh, per meglio consolidare una politica di stretta osservanza neoliberale. Benefici per azionisti, manager ed architetti software e trattamenti indecenti per tutti gli altri, dai giovani precari che animano i negozi Apple Store ai lavoratori cinesi semischiavizzati che costruiscono a ritmo forsennato iPhone e simili nelle città-fabbrica della Foxconn.

Non c’è problema a riconoscere che il primo iPhone apre nel 2007 la fase bioipermediatica della produzione cognitiva così come il PC aveva segnato il declino di quella industriale in termini di centralità politica e finanziaria . Cinque anni dopo Apple non ha più il monopolio, ma smartphones e tablets si vendono a centinaia di milioni all’anno e le basi istallate sono rispettivamente dell’ordine del miliardo; ci sono voluti trent’anni al PC per arrivare a questo livello.

Per tracciare meglio le mappe dove s’intersecano produzione comune e prelievo di rendita è necessario fare un’analisi politica dei ruoli che i devices possono assumere, anche tramite analogie e differenze con altri dispositivi chiave di epoche precedenti, come automobili e PC. Ruoli spesso antagonisti che vanno da strumento di produzione del comune nelle mani del movimento reticolare emergente a quello di esche per nuove forme di sfruttamento pervasivo della precarietà diffusa; una continua tensione fra il lavoro vivo prodotto dalla moltitudine ed il tentativo di racchiuderlo in recinti sempre più immateriali ed invisibili introducendo procedure coercitive che lo trasformano in lavoro morto.

Anche l’auto è una macchina di mediazione col territorio in cui però il valore d’uso è cablato nelle funzioni centrali di trasporto e viaggio, che all’apice dell’era industriale sono al centro delle dinamiche di produzione e di vita. Tanto da diventare il soggetto centrale d’uno dei romanzi-culto di quell’epoca: “On the road”, dove il famoso rotolo di teletype su cui Jack Kerouac lo scrive d’un fiato nel ‘51 si trasforma in prolungamento simbolico del nastro d’asfalto percorso al volante.

L’emergere negli anni ottanta dei PC rompe invece gli schemi dell’innovazione industriale ed ora, a qualche decennio di distanza, appare evidente la relazione fra l’affermarsi dell’intellettualità di massa e queste macchine sufficientemente duttili, riconfigurabili e di costo abbordabile. Benché all’inizio i PC non fossero ancora in rete, il sapere scientifico generale crea una condizione ideale per sfruttare autonomamente questa nuova potenza ed è maturo e pronto a servirsene.

Questa richiesta di sapere passa su assi esterni alle imprese e anzi, anticipando il fenomeno odierno del BYOD[vi], sono spesso i lavoratori concettuali, secondo l’etimologia dell’epoca, che li introducono sul lavoro. Una prova tangibile che il PC è in un primo tempo uno strumento d’indipendenza nella cooperazione sociale all’interno dei luoghi di lavoro e nelle attività dei servizi in pieno boom. Una macchina cognitiva su cui già si gioca il braccio di ferro fra produzione autonoma e comando sul lavoro.

Non amando la creazione di spazi d’auto-organizzazione in cui il suo ruolo di grande organizzatore è rimesso in causa, il comando d’impresa in un primo tempo adotta i PC controvoglia per poi riprendere la mano ristabilendo gerarchia e controllo della produzione all’interno del suo perimetro coll’architettura client-server [vii]e i packages de l’ERP[viii] (Enterprise Resource Planning).

La diffusione dei primi apparecchi mobili, telefoni e Pc portatili, nella fase seguente, dà un forte impulso iniziale al confondersi di vita e lavoro, all’imporsi del realtime macchinico nei ritmi di vita quotidiani quasi ad estensione delle cadenze della catena al di fuori della fabbrica fordista.

I dispositivi del bioipermedia integrano, potenziano e rendono portatili le tecnologie precedenti. La chiave del cambiamento sta nella combinazione di miniaturizzazione e mobilità che permette d’averne sempre uno o più a portata di corpo in qualsiasi quadro di vita, interno o esterno. In un’era di predominanza delle emozioni, l’interazione au fil du temps dei sensi con le reti diventa centrale ed il dispositivo una lunga manus di azioni remote: il mediatore mobile ed i suoi sensori, sempre più numerosi, interagiscono con udito, vista, tatto e parola, permettono geolocalizzazione, controllo a distanza e scambio con oggetti comunicanti, aumentano[ix] la realtà fisica del territorio con informazioni di ogni genere, commerciali, culturali, ecologiche, possono agire da macchina biomedica di controllo, correzione e supporto delle nostre funzioni biologiche vitali e mille altre possibilità a venire fra cui i dispositivi più antropomorfi che affiancheranno o sostituiranno gli schermi.

Mentre il PC ha una funzione centrale di mediatore dei processi linguistici scritti ed i suoi usi più tipici sono spesso legati alla concatenazione logica del pensiero, alla gestione di sequenze e priorità che si susseguono nel tempo, i devices mobili sono concentratori di percezione complessiva degli stimoli nella loro organizzazione spaziale e intervengono nell’interpretazione emotiva. Probabilmente il nostro emisfero sinistro è più accaparrato dal lavoro al PC mentre quello destro lo è nelle continue interazioni con uno smartphone.

Il capitalismo digitale ha intuito che questi devices sono il mezzo essenziale di rendita e di profitto tramite una captazione capillare di valore sulle produzioni e proprietà comuni e vuole farne lo strumento chiave del controllo biopolitico nel tempo e nello spazio. Questo spiega la durezza della lotta apertasi al suo interno, che viene rivelata per esempio dal clamoroso insuccesso dell’introduzione in borsa di Facebook, motivato da dubbi sulla possibilità di far fruttare i social networks in mobilità. Nel processo di formazione dell’oligopolio 2.0 infuria la battaglia per la creazione e messa in opera di recinti e procedure di captazione numerici, emozionali, semantici e finanziari governati da potenti algoritmi, talvolta instabili, come per esempio quelli dell’high frequency trading, capaci di fare crollare Wall Street in meno di un’ora o il Page Rank di Google che gestisce la visibilità e presenza mediatica mondiale. A questo fine i servizi marketing delle grandi imprese digitali inventano i comportamenti destinati a creare un mood emozionalmente favorevole all’introduzione di nuovi feticci. Nel contempo i designers li plasmano come oggetti funzionali ed attraenti ed i teams tecnici estraggono dalla produzione comune in rete l’essenziale per modellare piattaforme, devices ed ambienti software dalle potenzialità sempre più estese, ma imbrigliandoli ed infarcendoli di trappole di intercettazione di valore. Benché siano tutti fondati sul freeware e l’open source, vorrebbero farci credere che l’iPhone 5, Windows 8 o Jellybean[x] siano meraviglie che scendono dall’olimpo e per le quali dobbiamo essere grati agli dei.

Le meraviglie costano care e gli dei non godono più dello stesso credito di una volta forse a causa della generalizzazione d’un sapere diffuso: praticamente tutta l’umanità usa un telefono cellulare, ed una parte crescente, fra poco maggioritaria, sa cavarsela con un dispositivo informatico connesso in rete. A partire da un certo livello una reazione a catena si innesta: l’intelligenza collettiva e la precarietà a cui sono costrette spinge le moltitudini dei digital natives e di molti altri a far uso delle potenzialità di cui possono disporre.

Al contrario delle automobili, o in minor misura dei PC, nei dispositivi bioipermediatici il valore d’uso non è più determinato solo dalle loro caratteristiche imposte durante concezione o industrializzazione. Esso può cambiare radicalmente per mano dell’utente cognitivo. Una volta fatte cadere le barriere imposte all’interno per imbrigliarlo[xi], egli introduce valore tramite parametraggi, aggiornamenti, creazioni multimediali, arricchimento di dati, scaricamento di musica, giochi, applicazioni in funzione delle sue dinamiche di vita, di lavoro, dei suoi sentimenti e desideri.

Anche se le caratteristiche materiali permangono, quando il dispositivo viene plasmato nello scorrere di tempo e vita allora gli usi, le capacità ed addirittura le performance evolvono sino a non aver che un lontano rapporto con quelle iniziali. Il lavoro vivo dei singoli entra in relazione sulle reti per dar vita ad una trasformazione continua che genera un’eccedenza di produzione. Una ricchezza e forza comune che rompono continuamente i vincoli che il biopotere tesse. Queste attività infatti non avvengono in un esclusivo rapporto individuale uomo-macchina ma nell’ambito della common-based peer production, la produzione sociale del comune[xii] che, al contrario delle ipotesi di Yochai Benkler[xiii], non è finalizzata a dotare il capitalismo di un ennesimo travestimento socialmente accettabile. Gli innumerevoli siti, blogs, forums in ogni lingua che fioriscono e si amplificano globalmente sono il substrato, i luoghi e le officine d’interscambio dove, fra l’altro, si concepiscono e diffondono le armi informazionali per sottrarsi ed opporsi al progetto di precarizzazione e sottomissione della vita al lavoro e dove si scardinano le enclosures delle corporation informazionali. Apple in testa, esse cercano al contrario di renderle invalicabili con l’obiettivo d’impedire una liberazione che permette, fra l’altro, di evitare le gabelle per funzioni e servizi creati sfruttando la produzione comune. In certi casi l’ossessione captatrice è talmente cieca che può arrivare al punto di lanciare un terminale pensato per ostacolare compatibilità e aperture senza neanche un’esca d’innovazione tecnica o funzionale di rilievo. Nel caso recente dell’iPhone 5[xiv], questa cecità ha prodotto un clamoroso flop sottolineato dall’immediata ed implacabile sanzione borsistica. Microsoft non è da meno nella difesa dei sui monopoli: con Intel ed altri complici introduce col suo nuovo sistema Windows 8 un microprogramma d’avvio del PC che, sostituendosi al BIOS[xv], rende impossibile o molto complessa l’istallazione sulle nuove macchine di Linux o altri sistemi operativi non proprietari.

Le multinazionali tecnologiche incontrano però nuove ed impreviste resistenze nella loro ricerca sistematica d’obsolescenze programmate[xvi] dei loro prodotti per favorire il consumismo. A Parigi in vicoli d’atelier asiatici, degni dello scenario di Blade Runner, per qualche decina d’euro si può riparare qualsiasi device o prolungare la vita d’un iPhone cambiando in un’ora la batteria esaurita. Sta emergendo un enorme mercato dei devices usati che possono ancora essere mantenuti e fatti evolvere ad alto livello d’efficienza dal lavoro vivo, nell’ambito della peer production ed al di fuori dei circuiti di valorizzazione finanziaria. Mentre il movimento si contrappone collettivamente alle grandi opere inutili ed ecologicamente distruttive, basti pensare al NoTAV in Italia e a Notre-Dames-de-Landes in Francia, i singoli precarizzati fanno di necessità virtù: il loro “smartphone di seconda mano” può essere più duttile, rapido ed efficace di quelli nuovi, cari, ed irreggimentati che escono a getto continuo da Shenzhen[xvii].

Anche quando non riesce a trarre un profitto diretto dalla produzione comune il comando capitalista cerca comunque di creare nuove situazioni per captarlo: nell’ambito professionale ci sono buone illustrazioni. Sino a tempi recenti, specie nelle grandi compagnie, venivano forniti al lavoratore almeno i principali strumenti del lavoro cognitivo: un PC portatile e spesso un telefono mobile. Nonostante le reticenze legate ai problemi “sicurezza”, oggi le imprese lasciano od addirittura obbligano i lavoratori ad utilizzare il proprio terminale: il BYOD, Bring Your Own Device, si trasforma in imperativo. Non solo per questioni economiche, che pure contano nel continuo taglio delle spese imposto dalle direzioni finanziarie peraltro generose con dirigenti, traders o azionisti, ma soprattutto per sfruttare la nostra produttività tramite la macchina che abbiamo modellato per noi stessi!

Allora se sotto l’albero troverete un tablet, uno smartphone ultimo modello o un ibrido tattile sappiate che non sarete i soli ad essere contenti: sotto il regime della precarietà Bring Your Own Device if you want to survive…



[i] La campagna Windows 8 di Microsoft è costata 1,8 Miliardi di dollari.

[ii] Statistica dell’ottobre 2012 in provenienza dal sito http://gs.statcounter.com/#mobile_vs_desktop-ww-daily-20111001-20121009

che misura la percentuale del traffico mobile sulla totalità.

[iii] Ho assemblato ed usato il termine Bioipermedia o Bio-ipermedia, in precedenti articoli e sempre nel contesto dell’affermarsi della mobilità come elemento strutturante nelle relazioni di produzione e sociali della società dell’informazione. Esso rappresenta un concetto che è altresì un assemblaggio di bios/biopolitica e media/ipermedia. Come mi è stato fatto notare da alcuni esso puo suonare come un po’ astruso, arzigogolato. Non avendo trovato, per il momento, nulla di più intuitivo, semplice o familiare l’ho conservato anche nel presente articolo. Nota dell’autore.

[iv] “Una nuova società emerge ogniqualvolta si osserva una trasformazione strutturale nei rapporti di produzione, nelle relazioni di potere e nelle interazioni fra persone” (p. 409) Castells, M., 1998, The Information Age: Economy, Society and Culture, vol. III, End of Millennium, Malden (Mass.), Blackwell Publishers Ltd; trad. it., 2003b, Volgere di Millennio, Milano, EGEA

[v] Apple percepisce il 30% su tutto ciò che è venduto sull’App Store.

[vi] Bring Your Own Device. Letteralmente : porta il tuo device personale (al lavoro).

[vii] Un sistema client-server (letteralmente cliente-servente) è un’architettura di rete nella quale un computer client  (nella gran maggioranza un PC Windows) istanzia l’interfaccia utente di un’applicazione connettendosi ad una server application o ad un sistema di database. cfr. Wikipedia

Dmitri Kleiner in  The Telekommunist Manifesto (http://www.networkcultures.org/networknotebooks)  dedica il primo capitolo ad una critica dell’architettura Client-Server : Peer-to-Peer Communism vs.The Client-Server Capitalist State

[viii] ERP: Enterprise resource planning (letteralmente “pianificazione delle risorse d’impresa”, spesso abbreviato in ERP)è un sistema di gestione, chiamato in informatica sistema informativo, che integra tutti i processi di business rilevanti di un’azienda (vendite, acquisti, gestione magazzino, contabilità etc.) cfr. Wikipedia

[ix] Per realtà aumentata (in inglese augmented reality, abbreviato AR), o realtà mediata dall’elaboratore, si intende l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi Il cruscotto dell’automobile, l’esplorazione della città puntando lo smartphone, il Kinect e la chirurgia robotica a distanza sono tutti esempi di realtà aumentata.
cfr. Wikipedia

[x] Recente versione d’Android

[xi] Il jailbreaking (in italiano: evasione) è il processo a un dispositivo che permette di installare sui prodotti Apple, meccanismi di distribuzione di applicazioni e pacchetti alternativi a quello ufficiale dell’App Store., rooting è un processo funzionalmente equivalente per i terminali di tipo Android.

[xii] In inglese si riferisce alla common-based peer production, modello economico di produzione nel quale l’energia creativa di un grande numero di persone è coordinata (di solito con l’aiuto di Internet) senza la tradizionale organizzazione gerarchica … cfr. Wikipedia

[xiii] Yochai Benkler: è uno scrittore et professore israelo-americano. Insegna alla facoltà di diritto a Harvard. Ha scritto fra l’altro il libro la ricchezza delle reti e l’articolo Coase’s Penguin. Tradotto dal francese Wikipedia.fr

[xiv] Per esempio sull’iPhone 5 viene imposto senza ragioni tecniche evidenti, un ulteriore cambiamento del formato della carta sim (nano-sim), che diventa incompatibile con quella di tutti gli altri smartphones. Se per caso un iphone 5 è difettoso o si rompe, l’utente non potrà far funzionare la nano-sim su un altro telefono, senza parlare del connettore, incompatibile con lo standard di tutti gli altri devices – microUSB- ed anche con quella delle precedenti generazioni d’ iPhone e d’Ipad etc. Dettagli nella mia intervista in francese su http://www.youtube.com/watch?v=Hu2u9bb_Cqs&feature=related

[xv] In informatica, il Basic Input-Output System o BIOS è un insieme di routine software, generalmente scritte su ROM, FLASH o altra memoria non volatile, che fornisce una serie di funzioni di base per l’accesso all’hardware e alle periferiche integrate nella scheda madre da parte del sistema operativo e dei programmi.

[xvi] Apple, per esempio, ha concepito l’iPhone il cui costo può arrivare a sette o otto cento euro, con una batteria integrata non sostituibile. La cui durata è quindi in principio limitata a quella della batteria. L’ingegno collettivo ha trovato delle soluzioni: su internet si trovano Kit a basso costo per cambiare la batteria, senza contare le boutiques evocate nell’articolo.

[xvii] Shenzhen Zona Economica Speciale cinese nei pressi di Honk Kong dove sono situate molte le fabbrice di devices: è passata da circa 20 000 a 13,5 milioni di abitanti in trent’anni.

 

 

 

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