La concordia e i lupi di mare
di VALENTINA LONGO
Ormai giornali e televisioni sono concentrati sulle italiche mascolinità – eroiche o da biasimare – dei capitani Schettino e De Falco, mentre le sorti dei membri dell’equipaggio della Costa Concordia, già precedentemente poco illuminate dai riflettori mediatici, sono scivolate nell’oblio. L’italiano Giuseppe Girolamo, l’indiano Russel Terence Rebello e la peruviana Erika Fani Soriamolina sono i membri dell’equipaggio tuttora dispersi o deceduti.
Un musicista, un cuoco e una cameriera provenienti da tre continenti sono lo scampolo di un equipaggio multinazionale che solo nel 20% circa dei casi si occupa della conduzione della nave, mentre per l’80% è occupata nei vari servizi ai passeggeri. Hotel, ristoranti, teatri, centri benessere, discoteche, negozi, piste di pattinaggio, pareti di scalata: le navi da crociera sono ormai diventate la destinazione finale per i turisti, che si trovano a trascorrere molto del loro tempo a bordo coinvolti in varie attività che potrebbero occupare interamente il periodo di permanenza in nave.
Crociere per (quasi) tutti
Divertirvi è la nostra passione. La vita a bordo delle nostre navi non è come sulla terraferma. È un incantesimo che inizia di giorno con i colori del mare e finisce a notte fonda con le luci della festa. Annoiarsi è, davvero, un verbo che non conosciamo (Brochure Costa Crociere 2012, p. 48, reperibile al sito: http://www.costacrociere.it)
La vacanza all inclusive nel villaggio galleggiante è alla portata di gran parte dei cittadini “occidentali”. L’industria crocieristica sta differenziando notevolmente l’offerta per adattarsi a pubblici diversi: non vi è più solamente la classica distinzione tra diverse categorie di nave rispetto alla capacità di spesa dei passeggeri, come potrebbe essere quella tra un hotel a 3 o a 5 stelle, ma il ventaglio di proposte si amplia sia come gruppi destinatari – ad esempio viaggi per single – sia come attività da svolgere a bordo – quali crociere tematiche musicali o gastronomiche – sia infine come itinerari proposti e lunghezza del soggiorno. Le dimensioni delle imbarcazioni variano notevolmente, dai 100 ai 5.000 passeggeri, con una tendenza al gigantismo delle navi e all’assottigliamento degli equipaggi: se fino a pochi anni fa per ogni due passeggeri imbarcati si contava un marittimo, oggi troviamo un solo membro del personale ogni tre passeggeri.
Le crociere sono viaggi rassicuranti in cui viene proposto un assaggio di esotico addomesticato: si tratta di creare o ricreare narrative culturali comuni e dominanti. Il tentativo è quello di presentare ai turisti un prodotto che sia differente, ma allo stesso tempo abbastanza familiare perché vi si possano identificare. I mezzi usati possono essere diversi e vanno dall’esotismo, all’erotismo, al nazionalismo – quanta italianità si vende a bordo delle navi da crociera - combinando tali elementi con un passato mitico per costruire così connessioni tra il passato e il presente, il vicino e il lontano, il familiare e l’Altro. Si tratta di costruire una rappresentazione antropologica di colore della pelle, nazionalità, genere e classe che crei un ordine sociale rassicurante, prevedibile e allo stesso tempo esotico per quanti decidono di trascorrere le proprie vacanze a bordo, solitamente cittadini bianchi dei paesi tardoindustriali. Nel 2010 poco meno di venti milioni di passeggeri ha effettuato un viaggio in crociera, la maggioranza di questi sono statunitensi, seguiti dagli europei e dai circa due milioni di turisti che – secondo le statistiche dell’European Cruise Council – provengono dal resto del mondo. Il settore sembra non conoscere crisi: i passeggeri statunitensi ed europei sono aumentati rispettivamente del 6% e del 10% nel corso del 2010 ed è previsto il varo di numerose navi per i prossimi anni.
Quello crocieristico è un settore ad alta concentrazione: la Costa Crociere appartiene alla Carnival Corporation, multinazionale che con 101 navi e 85.000 dipendenti controlla circa il 50% del mercato crocieristico mondiale attraverso i suoi marchi.
Uno sguardo ai marittimi
Le nazionalità dei marittimi presenti a bordo sono numerose, nelle navi di ultima generazione non è raro che arrivino a cento; il personale viene reclutato in paesi sparsi in tutti i continenti – Africa quasi totalmente esclusa – direttamente dalla compagnia armatoriale oppure attraverso agenzie specifiche di reclutamento. Le agenzie possono essere le più svariate: specializzate in personale marittimo o alberghiero, dedicate a reclutare artiste e ballerine. Vi sono agenzie che gestiscono i centri benessere e quelle che forniscono le hostess; ulteriore elemento di differenziazione è costituito dai casino e dai negozi di bordo: quasi sempre questi sono dati in gestione ad ulteriori imprese specializzate nei rispettivi settori. Questa estrema frammentazione rispetto ai datori di lavoro significa che vi sono altrettanti sistemi contrattuali con livelli salariali che, nel sistema europeo, fluttuano dai 500 dollari per un cameriere di mensa alle svariate migliaia di euro per un comandante. L’intermediazione di agenzie di reclutamento rende la pratica dell’assunzione talvolta opaca: nel caso di marittimi asiatici, soprattutto filippini, indonesiani e indiani, per reperire un imbarco occorre pagare all’agenzia un ammontare pari a uno o due mesi di salario. Un obolo da versare prima di salire a bordo.
La densità umana e spaziale che vige a bordo è segmentata in una struttura gerarchica della forza lavoro che segue le linee della nazionalità, del colore della pelle e del genere, dando vita ad una geografia piuttosto serrata che rimanda ad un ordine coloniale. Tale struttura diventa immediatamente spaziale: ai ponti alti troviamo gli alti ufficiali, quasi tutti uomini bianchi e provenienti da paesi tardoindustriali. A mano a mano che si scende di gerarchia, iniziano a comparire le donne, il colore delle pelle assume sfumature più scure e le provenienze si ampliano verso paesi meno industrializzati. Nel ventre della balena, troviamo quelli che non vedono mai la luce del sole e spendono le proprie giornate lavorative sotto la linea di galleggiamento.
Al contrario dei lavoratori a terra, la durata dei contratti a bordo è inversamente proporzionale alla posizione gerarchica occupata e al livello salariale: quanti sono impiegati alla base della piramide occupazionale infatti hanno contratti molto più lunghi di quelli all’apice. Mentre il comandante o il primo ufficiale navigano per 3 o 4 mesi, una cabinista firma un contratto per 9-12 mesi, arrivando a passare a bordo anche periodi più lunghi se la compagnia necessita la sua prestazione.
Una volta terminato un contratto, non esiste alcuna certezza rispetto all’imbarco successivo e nemmeno sono previsti i benefici garantiti – anche se in misura sempre minore – ai lavoratori e alle lavoratrici di terraferma dei paesi tardoindustriali: non si concedono giornate libere, le cure mediche sono limitate, le ferie non sono in genere pagate e solo uno sparuto numero di marittimi matura diritti pensionistici.
Lo spettacolo totale
A bordo fervono continuamente le attività: dalla colazione al bingo, dalla presentazione delle sculture di frutta e verdure al gioco della pizza, dalla merenda piemontese ai balli di gruppo. Da mattina a notte inoltrata i turisti possono farsi coinvolgere in una maratona di eventi organizzati e pensati per loro. II presunto protagonismo dei passeggeri si nutre delle attività e soprattutto delle attenzioni, che talvolta diventano vero e proprio lavoro di cura, che le maestranze gli dedicano.
Il sorriso è una caratteristica fondamentale nel lavoro di quanti interagiscono con i passeggeri, una parte concreta del lavoro come la divisa che essi indossano. L’altra faccia della medaglia è infatti la sindrome da sorriso permanente, la stanchezza muscolare ed emotiva che tale atteggiamento comporta: il naufragio, un vero e proprio black out, rompe qualsiasi rappresentazione esotico-rassicurante e i passeggeri perdono quella sicurezza fornita dall’essere coccolati, riveriti e serviti costantemente durante la loro permanenza a bordo. Sono soprattutto le donne, impiegate quasi sempre in posizioni che prevedono contatti diretti con i passeggeri, ad incarnare il sorriso perenne e a prodigarsi per il benessere emozionale dei passeggeri, mettendo così a valore le competenze che queste hanno storicamente realizzato nella sfera del lavoro riproduttivo. A bordo di navi da crociera la presenza femminile è una novità relativa agli ultimi 30 anni. La partecipazione delle donne si attesta sul 20% circa del totale. Un terzo delle lavoratrici è impiegata nei servizi ai passeggeri, il 23% si occupa delle cabine, il 20% dei cibi e dei bar e il 17% nella categoria “altro”. Solo il 7% della componente femminile della forza lavoro è impiegato nella sezione marittima o nelle cucine.
Le attenzioni costanti di cui godono i passeggeri significano ritmi di lavoro intensi per lavoratrici e lavoratori. Lunghi turni in servizio vengono interrotti da periodi di riposo che cambiano a secondo delle esigenze immediate che si presentano a bordo: non si è mai certi di avere del tempo libero perché il just in time del divertimento non può subire interruzioni. Una chiamata in cabina può interrompere l’agognato riposo, in pochi minuti si possono coprire le brevi distanze che separano l’alloggio dalla postazione di lavoro. La separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro sfuma verso turni di lavoro che possono arrivare alle 12-14 ore, senza giorni liberi che possano interrompere il susseguirsi di giornate che finiscono per confondersi l’una con l’altra. I giorni della settimana non danno un senso al tempo dei marittimi imbarcati, sono piuttosto i diversi porti a marcare il ritmo dei mesi trascorsi a bordo, come un girotondo che si ripete fino alla fine del contratto o al cambio di itinerario.
Gli spazi della segregazione
Mentre il comandante è un ufficiale bianco, spesso italiano o inglese, che indossa una divisa immacolata e saluta dal palcoscenico nella serata di gala, la cameriera della propria cabina è una signora malgascia che sorride e si comporta in modo deferente e l’animatore che fa volteggiare la passeggera è un aitante brasiliano con il ritmo nel sangue. L’esotico, e il razzismo che sottende tale categoria, marca la relazione tra dominatore e subalterno e viene riconfermata in modo rassicurante attraverso le mansioni attribuite alle diverse nazionalità di lavoranti.
La distribuzione delle posizioni di bordo è quindi il risultato dell’intersezione tra colore della pelle/nazionalità e genere. La gerarchia degli equipaggi contemporanei delle navi da crociera ripropone in mare quello che è stato precedentemente sperimentato anche in terraferma, ossia una divisione del lavoro coloniale razzializzata con i bianchi all’apice della gerarchia, seguiti in ordine discendente da altri “differenti” in posizioni subordinate.
Tuttavia, a differenza dei migranti che vivono sulla terraferma, i marittimi arrivano a bordo quasi sempre senza gli intoppi di cui fanno esperienza i primi; pur considerandosi in molti casi lavoratori migranti, probabilmente non toccheranno mai il suolo dello stato in cui è immatricolata la nave, diventando così immediatamente socialmente meno pericolosi rispetto ai migranti terranei.
Ciascun lavoratore è immediatamente identificabile attraverso l’uniforme che indossa, il suo nome è riportato sulla targhetta che deve obbligatoriamente indossare. Si tratta inoltre di lavoratori che sono visti ed esperiti dai passeggeri solo nel tempo di lavoro, che interpretano la propria posizione lavorativa in maniera adeguata e “stanno al proprio posto”. Nella messa in scena della vacanza da sogno, infatti, non c’è spazio per vedere il lavoro sporco e ripetitivo: corpi sudati, divise sporche di grasso, volti tirati non hanno diritto di cittadinanza di fronte agli occhi dei turisti. Non si vedono mai i cinesi impiegati nelle lavanderie, che funzionano 24 ore al giorno tra acidi e vapori caldi per garantire giornalmente accappatoi morbidi e profumati ai passeggeri, e nemmeno gli indiani che sono impiegati tutta la notte, dalle 21.00 alle 7.00, nel taglio e confezionamento della deliziosa frutta e verdura che i passeggeri gusteranno durante la loro colazione.
Anche nei ponti riservati alle maestranze vige una segregazione che segue le linee del colore della pelle, della nazionalità e del genere. A seconda dei gradi gerarchici, ufficiali, sottufficiali e forza comune, vi è un differente livello di agibilità della nave: si va da chi trascorre tutto il proprio tempo di vita e di lavoro sotto la linea di galleggiamento a chi, come gli ufficiali più alti in grado, gode di libero accesso a qualsiasi zona del natante. L’organizzazione gerarchica della nave è immediatamente visibile perché assume caratteristiche spaziali. La cabina del comandante e degli altri ufficiali si trovano solitamente ai ponti più alti, separate da quelle del resto dell’equipaggio. Mentre gli ufficiali godono di un po’ di intimità grazie all’assegnazione di cabine singole, i sottufficiali le condividono con un’altra persona e la forza comune è spesso stipata in stanze che alloggiano quattro colleghi, con un bagno che può essere condiviso con un’altra cabina. Nei ponti riservati all’equipaggio, divisi da pesanti porte a cui è vietato l’attraversamento da parte dei passeggeri, improvvisamente i colori si spengono. Le zone crew only assomigliano molto alle navi commerciali dove il legno e i velluti vengono sostituiti da metallo e plastica, la luce naturale si trasforma in neon e il rumore di fondo è persistente.
Coloro che abitano più in basso sono anche quanti ricevono i salari più infimi, non solo per le note logiche dell’investimento capitalistico che mira solitamente a remunerare il meno possibile i propri dipendenti, quanto perché si tratta di persone che svolgono mansioni etnicizzate a causa della loro nazionalità, colore della pelle e genere. Si tratta quindi di mediare tra il costo del lavoro e uno sguardo situato storicamente e socialmente su chi è giudicato più appropriato per svolgere determinati compiti. I bassi salari vengono così giustificati anche attraverso il ricorso a una tipologia con ben precise caratteristiche sociali.
Alti ufficiali, ufficiali, sottufficiali e forza comune costituiscono gruppi differenziati e gerarchicamente ordinati che danno luogo ad una precisa configurazione delle interazioni sia lavorative sia extra lavorative. L’ordinamento degli spazi riservati all’equipaggio ne sottolinea lo status: le mense separate secondo il grado, con arredi, cibo e trattamento differenziati, nonché l’ubicazione e la qualità delle cabine danno corpo alla segregazione, che diventa spaziale ma soprattutto sociale. Il tempo libero dei naviganti è un indicatore per individuare le divisioni all’interno dell’equipaggio: i gruppi che si formano durante le fermate nei porti oppure al crew bar, e che formalmente costituiscono dei momenti liberi, in cui i naviganti potrebbero mescolarsi a proprio piacimento, ripercorrono i gruppi occupazionali di pari livello, oppure quelli nazionali.
Un cameriere filippino pilotava la lancia
Nel pacchetto all inclusive che i passeggeri comprano non vi è spazio per l’imprevisto, come quanto accaduto nella Costa Concordia; i passeggeri si aspettano – e contribuiscono a creare – uno spettacolo continuo. Il black out a bordo della Costa Concordia, conseguenza dell’impatto contro lo scoglio, è stato come l’amaro risveglio dal sogno della vacanza perfetta. Accanto alla paura per l’evento in sé, vi è stato un senso di spiazzamento per l’improvviso cambio di ruolo del personale di bordo. I commenti venati di razzismo dei passeggeri sono illuminanti a tale proposito: “un cameriere filippino pilotava la lancia!”, con tono dispregiativo. Durante l’emergenza l’ordine sociale a bordo è mutato notevolmente, spiazzando i passeggeri che si sono sentiti perduti, non riconoscendo più i ruoli rassicuranti che ricoprivano lavoratori e lavoratrici prima del naufragio. Dopo l’urto, l’eterno sorriso presente sui volti di uomini e donne impiegati a bordo si è spento. E i passeggeri, abituati alla deferenza continua da parte di chi lavora, si sono spaventati.
Ufficialmente tutto il personale di bordo è tenuto a seguire corsi per affrontare diversi tipi di emergenze che possono accadere sulle navi, così come è obbligato ad ottenere dei certificati per poter navigare. Vi sono però pratiche di varia natura che fanno sorgere dubbi sulla reale preparazione nei casi di emergenza: la padronanza dell‘inglese, lingua ufficiale di bordo, può essere molto esigua; il turnover del personale è elevato, quindi ci può facilmente essere un lavoratore/trice appena imbarcato che non è ancora stato formato; infine è piuttosto comune il fenomeno della compravendita dei certificati.
D’altro canto, é obbligo anche per i passeggeri imbarcati sulle navi da crociera effettuare il boat drill, ossia le prove di emergenza, solitamente subito dopo l’imbarco. Tali esercitazioni sono obbligatorie per tutte le persone che si trovano a bordo: al suono del segnale di allarme, i turisti prendono il giubbotto di salvataggio e si dirigono alle proprie muster station dove, in caso di reale emergenza, vengono convogliati sulle varie scialuppe di salvataggio. Nel grande spettacolo che è il viaggio in crociera, le prove di emergenza vengono vissute come l’ennesima attività ludica di bordo, da filmare e registrare per poi farle vedere ad amici e parenti. Tale attitudine viene ulteriormente alimentata da dispositivi che fanno dimenticare ai passeggeri che viaggiano su di un artefatto in un luogo potenzialmente pericoloso come il mare. Le attività di bordo sono tutte rivolte verso l’interno, il mare diventa una scenografia poco rilevante per i passeggeri mentre passano il tempo nei balli di gruppo, facendosi fare un massaggio balinese o passeggiando per le vie dello shopping di bordo.
I corpi dei marittimi che probabilmente giacciono nei fondali del mare Mediterraneo hanno goduto di qualche attenzione mediatica: la sorella della cameriera peruviana è stata intervistata da varie televisioni, così come è accaduto per i familiari degli altri membri dell’equipaggio. Senza tracciare indebiti parallelismi tra il protagonismo dei turisti e quello in tono minore delle maestranze, sembra comunque che godere di un contratto di lavoro restituisca quella dignità che invece non sfiora i corpi dei migranti che hanno viaggiato verso le coste europee a bordo di carrette del mare senza mai approdarvi. Senza confondersi con i turisti, lavoratrici e lavoratori di bordo appartengono al mondo patinato delle città galleggianti, e non rimandano ai pericolosi clandestini che invadono le coste.
Guardia Costiera, Vigili del fuoco, Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Aeronautica Militare, Croce Rossa, Protezione Civile e Associazioni di sommozzatori sono tra i soggetti che hanno contribuito ai soccorsi dopo l’incidente. Anche senza molti riflettori puntati, sarebbe auspicabile che al prossimo naufragio di migranti almeno un paio di corpi tra quelli intervenuti in questo caso si attivasse con la stessa solerzia.