Alienum munus
di MICHELE SURDI
Testo dell’intervento per il seminario di Uninomade “Il diritto del comune”. Torino, 10 marzo 2011
Posto che la definizione del comune è a) una definzione giuridica e b) una definizione in polemica con la proprietà (si noti,in polemica, non per definizione antitetica) occorre porre altresì che il diritto non gode di un’autonomia ontologica ma è in essenza prassi politica. Se ,in altre parole la politica è famosamente guerre en forme il diritto è politique en forme. Forma prima, inoltre, della razionalità occidentale (e qui la questione epistemica, la questione cioè della legalità,è ineludibile).
Riprendo ancora l’assunto bergsoniano di metodo che avevo invocato a Napoli: la soluzione di un problema coincide con la completa spiegazione dei termini in cui il problema stesso si pone. Ora,visto che il nostro problema è: beni comuni e proprietà( proprietà intellettuale,in primo luogo), mi sembra che le tre versioni (ancora un trilemma) di questo problema proposte nell’ordine 1)da Toni (e Michael H.), 2) da Gunther T.( e Michael B.) nonchè da Ugo M.nei documenti che sono circolati, e 3) quella che proporrò io da ultimo(in ogni senso), possano essere riassunte, nello stesso ordine, sotto le tre rubriche a) della regressione, b) del riciclaggio e c) della soperchieria. Utilizzo questi termini derogatori, maledicta, in luogo dei più irenici novazione, rifunzionalizzazione e trasvalutazione, per ribadire la polemicità intrinseca alla questione (ricordo, coniugare nostro e m/io).
Prima versione del problema. La proprietà nel capitalismo cognitivo è puro dominio diretto sulla cosa immateriale, che a sua volta è pura espressione della potenza del comune. Il rapporto giuridico,svanita ogni pretesa di mediazione, è rapporto di antagonismo immediato (si noti ancora che io sono assolutamente d’accordo).
La soluzione al dispotismo privato è la regressione allo stato preconventuale (o prelapsario), una novazione della proprietà che riduce però senz’altro la questione giuridica a quella antropologica(o ontologica, tout court), ricco:cattivo: privato, povero: buono: comune.
Seconda versione. E’ la versione più forte,calcata com’è sul diritto posto dagli ordinamenti costituzionali,tanto in senso stretto quanto societari. La normativizzazione dei diritti realizza tramite il rimando procedurale alla giustizia,e cioè ad un’istanza giudiziale, un temperamento discorsivo del dispotismo privato. L’originaria interposizione pubblica viene in questo modo strategicamente riciclata in un’ermeneutica pluralista.
Questa rifunzionalizzazione, tanto credibile quanto riferibile alla prassi, riproduce però implacabilmente la mediazione giuridica (e con essa il carabiniere che sempre è alle spalle del giudice).Non solo,il monopolio della forza, che è condizione di pensabilità dell’intermediazione stessa, per quanto riguarda i regimi ibridi fondati sulla proprietà intellettuale viene tendenzialmente sostituito (l’ho detto a Firenze) dall’autosanzione.
Terza versione (la mia). L’assunto è l’immanenza dell’appropriazione al diritto. Il corollario, che evita il pessimismo antropologico, è la coestensività di diritto e forza e la conseguente eliminazione del requisito, trascendente o trascendentale che sia, della giustizia. Di qui a seguire il primato funzionale dell’autosanzione sulla mediazione.
La soperchieria consiste nel fatto che in questo modo l’effettualità proprietaria, nel nostro caso l’effettualità del codice cibernetico proprietario, viene bel et bien feticizzata. La trasvalutazione si rivela così per ciò che è, la forma compiuta non tanto della controrivoluzione quanto della rivoluzione passiva (della riduzione, se si vuole, del comune al comunismo rozzo).
Perchè insisto allora su di una versione del problema che implica tante controindicazioni? Perchè, al dilà di ogni realismo tragico, mi sembra che questa versione permetta di coniugare in prospettiva autosanzione, appropriazione antagonista e capacità costituente del comune, contro ogni mediazione ma comunque su di un terreno giuridico (in un antico scritto su Posse ho evocato la struttura della faida premoderna come possibile esempio, altrove il diritto alle armi).