Il day-block della logistica
di ANNA CURCIO e GIGI ROGGERO
É iniziato prima dello scoccare della mezzanotte lo sciopero generale dei lavoratori della logistica: depositi e magazzini della Tnt, della Bartolini, dell’Sda, della Dhl e delle altre imprese nelle principali città protagoniste delle lotte degli ultimi anni (Verona, Bologna, Milano, Piacenza) sono stati bloccati a partire dalla sera di giovedì. Al passare delle ore hanno iniziato a prendere corpo i numeri dell’adesione allo sciopero: si arriva al 100% o quasi, i principali poli della logistica per oltre 24 ore sono svuotati del lavoro vivo. Il dato di grande rilievo è che la giornata di mobilitazione è andata ben oltre gli ormai consolidati centri della mobilitazione, arrivando al centro-sud: a Roma, ad esempio, i livelli di partecipazione allo sciopero alla Sda e in altre imprese della logistica sono stati pressoché totali. Ciò permette il rafforzamento dei conflitti dove già c’erano e il loro esordio nei posti in cui finora erano assenti. Lo sciopero del 22 marzo segna quindi un fondamentale salto di qualità nel processo di accumulo di forza ed estensione di questo ciclo di lotte.
Ma il 22M non si è esaurito negli straordinari numeri di adesione allo sciopero. Prima che l’alba facesse capolino, sono cominciati i picchetti e i blocchi dei principali snodi della circolazione delle merci. A Bologna l’interporto viene completamente paralizzato, le file di camion fermi in entrata e in uscita vanno avanti per chilometri. La composizione è quella vista nella vittoriosa lotta all’Ikea e in altre occasioni: al fianco dei facchini ci sono studenti, precari e militanti. Poco prima delle 10 arriva la notizia di una prima violenta carica della polizia ad Anzola, tra Bologna e Modena, per provare a sgomberare i cancelli della Coop Adriatica (sì, non è un caso, il fiore all’occhiello della sinistra e ganglio nevralgico del blocco di potere politico-economico del modello di governo socialista emiliano-romagnolo). Anche qui tutti i lavoratori delle cooperative avevano incrociato le braccia. Il picchetto resiste con determinazione e occupa la via Emilia, arteria centrale della circolazione: intorno a mezzogiorno viene rimpolpato dai partecipanti al blocco dell’interporto, che hanno pienamente raggiunto l’obiettivo. Nel frattempo, a Verona e a Padova vengono bloccate le tangenziali e le strade della zona industriale, a Roma è presidiata la sede dell’Sda, a Torino e Genova ci sono iniziative in imprese specifiche. Nell’area metropolitana di Milano sono tre i concentramenti principali: all’interporto di Carpiano, dove vengono bloccate l’Sda e la Dhl, nella zona strategica di Linate, infine a Settala, dove i lavoratori picchettano due grossi centri della Dhl. Qui il delegato della Cgil prova a sfondare i picchetti per portare dentro i crumiri, l’uno e gli altri vengono cacciati via dai lavoratori. I confederali sono complici dei padroni non solo in senso figurato. A Piacenza, dopo aver nuovamente bloccato il deposito Ikea a partire dalle 6 del mattino, nel pomeriggio si forma un corteo che invade le strade del centro cittadino.
Ma la giornata è lunga. Poco dopo le 14 poliziotti e carabinieri indossano nuovamente caschi, scudi e manganelli per sgomberare il picchetto davanti alla Coop Adriatica e Unilog. Le cariche sono ripetute e violente, lavoratori, studenti e precari resistono e occupano la via Emilia. Cercando di sfuggire alla brutalità poliziesca tre lavoratori vengono investiti da un camion, le loro condizioni sembrano critiche: arriva l’ambulanza, uno viene portato in ospedale, gli altri due vengono soccorsi e restano sdraiati a terra. La strada rimane bloccata. I manganelli tornano a inseguire i corpi dei manifestanti, che mantengono compatto il corteo, raggiungono un parco ai lati della via Emilia e si riuniscono in assemblea.
Le immagini dei poliziotti che scortano i camion carichi di merci sembra una fotografia del capitalismo contemporaneo e della violenza dei processi di accumulazione. Ma queste lotte, innanzitutto, ne indicano i livelli di fragilità e di possibile rottura. La ritualità dello sciopero è definitivamente infranta, questo viene reinventato e torna così a essere un’arma per fare male ai padroni. Anche il simbolico non è più finalmente quello dei media mainstream, ma appartiene alla comunicazione autonoma che – attraverso siti, twitter e social network di movimento – ha creato il tessuto connettivo della giornata di sciopero (l’hashtag #logistica è stato tra i principali “trending topic” in Italia). In molti luoghi lo sciopero va avanti fino al sabato mattina, alcuni lavoratori discutono della possibilità di protrarlo ulteriormente. Dunque, finita con un bilancio eccellente la prova di forza e generalizzazione del 22, il processo continua su nuove basi: oltre la logistica, ripetono tutti, qui vanno trovati i circuiti della ricomposizione. Qualcuno cita gli Iww: forse è solo una suggestione, o semplicemente serve per descrivere alcune caratteristiche (mobilità, eterogeneità, irrappresentabilità) che oggi, nel cuore del capitalismo cognitivo, descrivono la forza lavoro precaria. In ogni caso, le forme organizzative della nuova composizione di classe ora sembrano un po’ meno indecifrabili: un passo in avanti comune lo stiamo facendo, magari proprio verso i wobblies del XXI secolo.
* Pubblicato su “il manifesto”, 23 marzo 2013.