La logistica delle lotte
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di COLLETTIVO UNINOMADE
La logistica è oggi centrale non solo per i processi di accumulazione del capitale, ma innanzitutto per la possibilità di rottura e sovversione. Tra i due aspetti non vi è nessuna specularità oggettiva: sono state infatti le lotte dei lavoratori, quasi tutti migranti, a imporre questa centralità. Sulla base dei picchetti, dei blocchi selvaggi e delle vittorie degli ultimi mesi e anni è stato convocato per venerdì 22 marzo uno sciopero generale del settore. Essendo interni a questi processi di lotta e tentativi di organizzazione autonoma, dal punto di vista della produzione di discorso politico e della concreta partecipazione ai conflitti, proponiamo un contributo collettivo in vista del 22 marzo e apriamo uno spazio di riflessione e approfondimento.
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Quella che si prepara per il 22 di marzo è una giornata importante. Lo sarà per il segno che essa va a incidere nelle lotte dei migranti, innanzitutto. Sono passati dieci anni dall’approvazione della famigerata legge Bossi-Fini. Dieci anni di costanti mobilitazioni per la libertà di movimento e per il diritto di restare, dieci anni di lotte selvagge e radicali, contro i Centri di permanenza temporanea e di identificazione, dieci anni di autorganizzazione. Lo sarà, inoltre, perché essa determinerà il punto di massima conflittualità sinora raggiunto nel circuito della logistica: un settore che non conosce crisi, cruciale per la valorizzazione capitalistica e finanziaria, un settore in cui vengono ripuliti capitali criminali e all’interno del quale la flessibilità del lavoro, la destrutturazione dei diritti, la cooptazione dei sindacati confederali a funzioni imprenditoriali e di sfruttamento viene materialmente realizzata. Non può sorprendere che la piattaforma per il nuovo contratto nazionale della logistica da quest’ultimi approntata vada, nel senso del peggioramento secco delle condizioni di lavoro, più avanti di quanto chiedano gli stessi padroni, dato il ruolo che le cooperative rivestono nella filiera del trasporto merci e il numero impressionante di ex-sindacalisti che svolgono funzioni dirigenziali al loro interno.
La logistica è un settore fondamentale per quanto riguarda la composizione di classe contemporanea. Da un lato la valorizzazione delle merci che fa dell’impasto tra scintillanti circuiti informatici e pura fatica il proprio vettore fondamentale. Dall’altro, lavoratori precari, organizzati da finte cooperative che, nelle more del diritto del lavoro e della fiscalità generale, li sfruttano senza pietà: migranti di prima e di seconda generazione che smistano pacchi spaccandosi la schiena, sottoposti a ritmi insopportabili dagli algoritmi del just in time, a turni di 24 ore su 24, a gerarchizzazioni e ricatti insopportabili, al gioco sporco del cambio di cooperativa in appalto, al furto sistematico in busta paga.
Walter Benjamin diceva che il porto «è la storta incombustibile, surriscaldata dove riescono meglio le miscele di classe più rare e difficili». Lo sono i porti, indubbiamente, e la storia dello sciopero dei portuali della Maersk Line, la principale azienda globale del trasporto merci, che ha paralizzato gli snodi della logistica di Los Angeles e Long Beach ce lo ha recentemente ricordato; iniziano a dimostrare di esserlo anche gli hubs e i magazzini del trasporto su gomma nel nostro paese. Negli ultimi anni, infatti, non soltanto è cresciuta l’organizzazione sui luoghi di lavoro, ma è cresciuta anche la conflittualità. Una conflittualità capace di coniugare radicalità e trattativa, blocchi della produzione e vertenzialità concreta; capace di risalire le catene dei subappalti e di identificare la controparte che di quella catena rappresenta il primo anello.
Sono molte le lotte vincenti degli ultimi mesi. Vincenti per il sapere operaio dispiegato nella decifrazione dei circuiti della distribuzione e del trasporto delle merci – quel sapere che ha permesso in molti casi di fare davvero male alle imprese inseguendo mobilità e flessibilità di gestione dei magazzini con la mobilità e la flessibilità dei picchetti –; vincenti per il recupero di reddito e salario che sono state in grado di realizzare imponendo una ricontabilizzazione autonoma delle ore di lavoro materialmente effettuate, delle ferie non godute, dei turni di riposo discrezionalemente imposti dai capetti; vincenti in altri casi, infine, per aver costretto i padroni a riassumere compagni licenziati solo per aver alzato la testa.
Nelle cooperative lavorano fondamentalmente migranti di prima generazione. Molte donne. Ma anche giovanissimi migranti di seconda generazione: ragazze e ragazzi scolarizzati, perfettamente in possesso della lingua e della consapevolezza dei propri diritti, per i quali l’impiego nel facchinaggio è spesso l’effetto della riforma Gelmini dell’Università. Nelle lotte degli ultimi mesi, evidente è saltata agli occhi di chi segue questi processi di autorganizzazione una rottura generazionale: sono ora questi giovanissimi lavoratori a trainare assemblee e lotte. Sono loro a produrre un’immediata saldatura tra le lotte sul lavoro e i diritti sociali: nei loro interventi suona la forza di una presa di parola che marginalizza la rassegnazione e il disincanto di genitori e parenti più anziani che lavorano con loro. È in questi nuovi protagonisti che la parola d’ordine dello sciopero del 22 assume tutta la sua radicalità.
Le lotte della logistica sono percepite come in immediata continuità con le lotte del movimento delle e dei migranti degli ultimi anni, ma contemporaneamente come risposta all’inclusione differenziata sul mercato del lavoro che si è ormai dispiegata come il vero risultato della legge Bossi-Fini. I migranti che lavorano nella finzione cooperativa della logistica non sono stati solo trattenuti nel limbo della cittadinanza, ma sono stati messi al lavoro sfruttando direttamente il supplemento della razza, e cioè la differenza sulla quale è possibile lucrare in termini di ricatto dentro e fuori dalle mura dei magazzini. È la fabbrica sociale complessiva il territorio in cui si radica la soggettivazione dei migranti e delle migranti, dei precari e delle precarie, della logistica.
Di qui almeno due punti di rilevanza ulteriore della giornata che si prepara: innanzitutto lo sciopero come forma politico-organizzativa; e poi l’innesco di percorsi rivendicativi destinati a produrre effetti di rilancio sulle lotte del precariato metropolitano.
Un dato indubbiamente significativo sono state le assemblee che hanno preparato lo sciopero nelle ultime settimane. Assemblee molto partecipate di lavoratori che nelle singole città hanno saputo fare rete e che rappresentano l’embrione di forme organizzative autonome: nuove “camere del lavoro e del non lavoro” all’interno delle quali si vanno saldando processi di comunicazione che attraversano ed eccedono le stesse forme sindacali di base che generosamente si sono messe al loro servizio. Percorsi di organizzazione e di lotta, inoltre, capaci di leggere ed interpretare dal basso i territori disegnati dai circuiti di mobilizzazione delle merci. I picchetti all’Ikea hanno fatto scattare picchetti in altre città, tracciando e rovesciando la geografia panottica della valorizzazione cognitaria, esattamente come successo qualche anno fa, quando fu la distribuzione dei pneumatici Michelin ad essere bloccata inseguendola di magazzino in magazzino per tutto il Veneto. Di qui la seconda delle cose segnalate poco sopra: la possibilità reale e già sperimentata di rovesciare, incidendovi un segno operaio, la fitta rete di linee di produzione che connettono hubs e magazzini della pianura padana aprendola in direzione del Nordeuropa e del Mediterraneo. Di nuovo: sono le rotte della logistica a tracciare la nuova organizzazione produttiva dello spazio e del tempo; e sono le lotte a imporvi un’altra materialità, un altro uso.
La giornata del 22 marzo si annuncia importante per tutta questa somma di fattori. Una nuova geografia disegnata da lotte che si sono dimostrate capaci di fare rete, processi di autorganizzazione che eccedono le formule rappresentative e che praticano immediatamente l’obiettivo, l’accumulo di vertenze già portate a successo che incrementa di velocità e di potenza la rivendicazione di reddito e di dignità, una soggettività politica e sociale nuova che incrocia e contamina reciprocamente le differenti condizioni del migrante e del precario, una radicalità molto difficilmente catturabile e capace di tradursi in pratiche di lotta immediatamente efficaci.
Che, mentre scriviamo queste note, ci raggiunga la notizia di misure repressive e minacce nei confronti di alcuni dei protagonisti di questi percorsi di autorganizzazione – ai quali va la nostra solidarietà –, non ci sorprende affatto. È un segnale molto preciso di preoccupazione e di paura. Queste lotte possono aprire nuovi percorsi; i blocchi alla circolazione delle merci, anticipare le nuove forme di sciopero della fabbrica sociale. Non c’è carta dei diritti – tantomeno del comune – che non sia imposta dalla rottura di una continuità e da una prova di forza. Lo sciopero della logistica del 22 marzo lavora a quella rottura e a quella prova di forza.