La primavera di Milano
di ANDREA FUMAGALLI
Nella prima settimana di aprile, la temperatura a Milano ha raggiunto i 32 gradi, record storico degli ultimi 50 anni. Scoppia la primavera ma in realtà, in città, l’aumento di temperatura è cominciato l’autunno precedente, a partire dall’invenzione degli Stati Generali della Precarietà, avvio di un percorso di analisi, continuo e serrato, sulla condizione precaria. Si prova ad andare oltre il mito (divenuto rituale) della Mayday, dieci anni dopo la sua nascita. In autunno, esce anche il primo numero dei Quaderni di San Precario, strumento essenziale per la costruzione di un punto di vista precario, esito della collaborazione delle diverse esperienze metropolitane del Nord Italia messe a frutto nei movimenti di quei mesi (dalla lotta sul contratto Fiat alle battaglie contro il ddl Gelmini sull’università). In occasione della seconda edizione degli Stati Generali, a metà gennaio, viene lanciata la proposta dello sciopero precario. A partire dalla mobilitazione dei metalmeccanici di fine gennaio, si cominciano a sperimentare alcune forme di sciopero precario, tese a bloccare i flussi delle reti produttive cittadine. Dopo gli Stati Generali 3.0 di Roma a metà aprile, la temperatura si è surriscaldata a dovere: ciò consente la mutazione della MayDay da “parade” di autorappresentazione, semplice fotografia, della condizione precaria in segnale di forte consapevolezza di una realtà del lavoro che ha innervato tutti il ncia meccanicira ma in realtàsettore produttivi, in grado di porre il tema del welfare e dei diritti a livello istituzionale. Il secondo numero dei Quaderni di San Precario e la presa di parola precaria al Salone del libro di Torino a metà maggio, passando per le azioni del 6 maggio (sciopero generale Cgil), hanno fatto il resto.
Parallelamente, nell’ambito politico istituzionale, si è posto il problema della scelta del candidato/a del centro-sinistra in grado di sfidare la sindaca, Letizia Moratti, espressione contradditoria delle lobby affaristiche che da 20 anni definivano la governance milanese del centro-destra. Nel giugno dell’anno scorso, Giuliano Pisapia si autocandidava a sindaco di Milano, chiedendo che venissero effettuate le primarie in autunno. Il PD milanese, costantemente preso dalla sindrome del recupero del centro, veniva colto di sorpresa e, suo malgrado, era costretto a compiere una selezione che allo stesso tempo rassicurasse la struttura dei poteri forti cittadini che avevano scommesso sull’Expo 2015 ma fosse anche credibile a sinistra. Stefano Boeri, ha rappresentato la figura potenzialmente idonea per svolgere questo doppio ruolo, ma non è bastato. Come è noto, le primarie sono state vinte da Giuliano Pisapia ed è stato in quel momento che si è cominciato a intravedere a Milano un potenziale nuovo corso politico, non in linea con gli schemi tradizionali di natura concertativa e lobbystica che avevano portato alla sclerotizzazione dell’opposizione politica milanese.
Questi due percorsi, quello sociale della generazione precaria e quello istituzionale di Pisapia, hanno avuto qualche momento di contatto. Ad esempio quando la rete di San Precario ha incontrato nell’autunno scorso i candidati sindaco delle primarie del centro-sinistra proponendo loro e ottenendo la firma di un “contratto precario” da rispettare, nel caso di elezione.
Pisapia ha vinto perché ha creato un ponte immaginifico tra i movimenti e le associazioni sociali e la possibilità di una nuova interlocuzione istituzionale, in grado di andare oltre l’intermediazione politica partitica tradizionale. Pisapia ha vinto nonostante i partiti del centro-sinistra, alludendo a forme di rappresentanza, che oggi sono ancora tutte da costruire e da realizzare concretamente.
Pisapia ha vinto anche grazie ai macroscopici errori di una destra che si è presentata alle elezioni divisa al proprio interno e eccessivamente sicura della propria vittoria. La gestione Moratti (ancor più di quelle precedenti) si è rilevata del tutto incapace di rappresentare gli interessi dell’oligarchia economica milanese. Le incertezze e i conflitti sulla gestione Expo 2015 tra Moratti e Formigoni per la distribuzione delle laute rendite immobiliari ha fatto sì che a tutt’oggi il Comune non è ancora entrato in possesso delle aree destinate a ospitare un’Expo che si è già molto ridimensionata rispetto ai faraonici progetti iniziali (a cui lo stesso Boeri aveva contribuito). L’effetto politico è stato lo scarso supporto della Compagnia delle Opere (leggi Comunione e Liberazione e Formigoni stesso) – primo potere economico lombardo e cittadino – alla campagna elettorale del centro-destra, con la conseguenza di alimentare l’astensionismo di destra o convogliare alcuni voti (ma inferiori alle previsioni) sul Terzo polo (rappresentato dal Presidente del Consiglio Comunale, precedentemente eletto nelle file del centro-destra).
La crisi finanziaria degli ultimi anni, inoltre, riducendo le rendite finanziarie, ha parzialmente spostato sulla gestione del territorio le attività speculative, con l’effetto di ridefinire gli ambiti del potere politico-territoriale. Negli ultimi anni, Milano è diventata la città dei palazzinari, il varo del contestato Pgt (Piano Generale del Territorio) ha riacceso gli appetiti delle società immobiliari e dei costruttori edili. In tale contesto è aumentata la conflittualità tra i tre attori principali che gestiscono il comando sui territori e sulla rendita urbana: la Lega, i costruttori e le organizzazioni criminali che a Milano si sono sempre più radicate a livello locale, creando un vero e proprio potere parallelo e collusivo. In questo quadro, la candidatura Moratti è stata ritenuta non idonea ed è stata di fatto sfiduciata. Non sorprende, insomma, che parte della borghesia finanziaria e commerciale abbia preferito Pisapia.
Infine non va dimenticato il fallimento totale della strategia comunicativa messa in campo dal centrodestra, ancora una volta basata sui vecchi cavalli di battaglia che avevano favorito l’ascesa del berlusconismo e del leghismo vent’anni fa: la paura del comunismo (Milano, la Stalingrado d’Italia) e l’emergenza sicurezza (Milano, la zingaropoli e islamica, Milano, l’ostaggio dei centri sociali).
È interessante notare non tanto che tale propaganda non ha fatto presa sull’elettorato milanese ma piuttosto il fatto che, soprattutto nelle due settimane del ballottaggio, abbiamo assistito a un proliferare di forme comunicative, ironiche e dissacranti, all’interno dei social network che hanno caratterizzato la campagna elettorale, più contro la Moratti che a sostegno diretto di Pisapia. Moratti ha avuto a disposizione per la campagna elettorale un budget di circa 25 milioni di euro contro l’1,3 di Pisapia. Tuttavia, l’insorgere della cooperazione sociale via Internet e l’eccedenza che ne è conseguita sono stati in grado di compensare abbondantemente il gap iniziale. Crediamo che tale fenomeno debba essere approfondito e meglio indagato come spia di una nuova generazione che modifica e stravolge le forme classiche e tradizionali della comunicazione politica.
Si tratta di un aspetto importante, di buon auspicio, da non sottovalutare: spia di un protagonismo comunicativo e politico che ben si confà a quella generazione precaria che si affaccia sul mercato del lavoro, vergine da ogni qualsiasi retaggio del passato e che mai aveva conosciuto i “diritti del lavoro”. Sappiamo che a Milano solo un giovane su 20 entra stabilmente nel mercato del lavoro, che una quota tra il 35 e il 40% dei giovani under 35 lavora nel comparto del terziario immateriale, in parte costituito da quei settori che vengono illusoriamente definiti “creativi”, che la maggior parte di loro percepisce redditi da fame e molto difficilmente è in grado di promuovere un’esistenza sganciata dal welfare familiare. Abbiamo assistito ad una nuova domanda di partecipazione politica (non è un caso che l’astensione di sinistra si sia fortemente ridimensionata) che può preludere ad un nuovo protagonismo sociale. Si apre così una sfida nuova e interessante. Una sfida soprattutto per il nuovo sindaco, che oggi ha capitalizzato un immaginario, che però deve essere in grado di tradurre in pratica politica autonoma. Ma è anche una sfida per il movimento dei precari, che può uscire rafforzato da questa tornata elettorale, se riesce a raccogliere, anche solo in parte ciò che di buono ha saputo seminare in dieci anni di MayDay. Qui sta la scommessa di Milano, che questa calda primavera continui e non si trasformi repentinamente in un nuovo inverno: tenendo sempre a mente, nel bene e nel male, che ciò che si muove a Milano anticipa ciò che si potrebbe muovere a livello nazionale.