Un anno dopo, Occupy è ancora vivo
di JASON READ
Il 17 settembre è il primo anniversario di Occupy Wall Street. La storia di Occupy nel Maine è iniziata qualche settimana dopo, quando un’assemblea a Monument Square si è trasformata nell’occupazione di Lincoln Park.
Il Maine non è un caso unico. Nel momento in cui sono state piantate le prime tende e si è tenuta la prima assemblea generale, le occupazioni sono spuntate ovunque: a Oakland, a Cleveland, a Houston e così via. Hanno fatto seguito le occupazioni a Bangor e in altri luoghi del Maine.
Noi diciamo “Occupy Wall Street”, ma “Occupy” è diventato davvero qualcosa solo quando si è espanso oltre i confini di New York per divenire, se non un movimento nazionale, certamente una molteplicità di movimenti.
É accaduto qualcosa in quelle poche settimane, qualcosa di inaspettato: una protesta, una manifestazione, è diventata qualcosa di molto più grande, qualcosa di imprevisto. Come ciò sia accaduto è ancora difficile da spiegare.
Occupy, come viene chiamato, sembra esser venuto fuori dal nulla, dando forma alle questioni che riguardano la crescente disuguaglianza e il potere politico della ricchezza. Tali questioni erano e continuano a essere al di fuori della prospettiva dei partiti.
La stessa esistenza di occupazioni in giro per il paese fatte da persone con pochi o nessun contatto e senza un coordinamento organizzato, suggerisce che Occupy abbia dato forma a un sopito malcontento nel cuore della società americana, un malcontento rispetto al sistema economico esistente e all’influenza della ricchezza sulla politica e sulla vita.
Occupy ha immediatamente spostato i termini del dibattito politico, introducendo un nuovo vocabolario che è incentrato sulla distribuzione della ricchezza nel paese e sul crescente divario tra il 99% e l’1%, che controlla la maggior parte della ricchezza e, conseguentemente, del potere politico.
Se l’introduzione della questione dell’ineguaglianza nel discorso politico ufficiale è un risultato positivo di per sé, la politica di Occupy non è mai stata rivolta alla retorica o alla politica dei partiti dominanti. Sarebbe ingenuo criticare simultaneamente i maggiori partiti politici in quanto interamente legati all’influenza aziendale e poi aspettarsi che l’uno o l’altro reagisca al dominio del potere aziendale.
Comunque, Occupy non si è limitato a rifiutare i partiti politici perché viziati e rovinati dall’influenza delle grandi imprese. Occupy si è infatti fondata su un’idea della politica radicalmente differente e su una differente idea di democrazia, basata sulla partecipazione diretta e non sulla rappresentanza.
Le occupazioni scaturite da Lincoln Park, ribattezzata “Oscar Grant Plaza”, costituivano spazi di formazione, dove le persone imparavano come condurre le assemblee e creare consenso, cose importanti tanto quanto i simboli dell’ineguaglianza. L’idea più radicale di Occupy non è stata solo la critica dell’ineguaglianza, ma anche l’idea che le persone possano costruire il proprio destino individuale e collettivo.
Cosa ci lascia tutto questo un anno dopo? Per quanto si potrebbe affermare che le occupazioni erano assolutamente essenziali per mettere insieme le voci disparate dello scontento, dagli studenti intrappolati dal debito ai senza casa e ai disoccupati, la connessione del movimento in una tattica unica ha vincolato il suo sviluppo.
Gli accampamenti hanno consumato una grande quantità di energie di Occupy quando sono diventati rifugi improvvisati per coloro che sono precipitati dallo sfilacciamento delle reti sociali di sicurezza. Anche le occupazioni hanno vincolato il movimento agli occhi dei media, nella misura in cui lo stato degli accampamenti simboleggiava la dedizione alla causa.
Questa equazione era non solo cinica, cosicché i media e i politici hanno giocato un ruolo di attesa dell’inverno, ma ha anche alzato di molto l’asticella. Ha fatto dell’accampamento una bizzarra cartina di tornasole dell’impegno politico.
Questa logica ha però dominato la cronaca e ha portato a concludere che lo sgombero delle occupazioni rappresentasse la fine del movimento. Occupy Maine ha invece continuato a lavorare su una serie di istanze ben oltre lo sgombero, soprattutto organizzando la difesa di un altro spazio pubblico, Congress Square, contro la privatizzazione. Ma queste azioni sono sparite dall’attenzione dei media.
Occupy è anche scomparso dalla coscienza pubblica, continuando a vivere solo in vaghe evocazioni del 99% e dell’1% che sono diventati la scorciatoia per parlare di classe in America. Qualsiasi necrologio sarebbe però prematuro. Le questioni che Occupy ha fatto emergere non sono affatto scomparse. Il divario tra i ricchi e i poveri aumenta, le elezioni sono sempre più dominate dalla ricchezza e le vite di una generazione si trovano a fare i conti con il debito e la disoccupazione.
Soprattutto, le persone che hanno partecipato a Occupy sono ancora qui, hanno imparato qualcosa e costruito connessioni. Rimane da vedere se Occupy è un’anomalia nella politica americana o l’inizio di un lungo capitolo.