Oltre i frammenti delle Costituzioni
di CLAUDIO CAVALLARI
La globalizzazione economica e i movimenti sociali hanno causato la crisi del carattere performativo delle costituzioni nazionali. In un volume giunto a conclusione di un ciclo di seminari del gruppo Uninomade viene affrontata la frantumazione del diritto.
La plurisecolare storia politica europea, dalla modernità in avanti, situa ogni possibile critica del diritto e dei suoi istituti di fronte all’evidenza di un fatto. La formulazione, la tutela e la garanzia dei diritti soggettivi – civili, politici e sociali, secondo la tradizionale ripartizione di Thomas H. Marshall – si presenta come prerogativa esclusiva del Sovrano e non fa, non può in alcun caso fare, capo alla società, ai singoli o alle comunità di individui. Si tratta di un’eredità del giuspositivismo che innerva le sedimentazioni giuridico-istituzionali di tutta l’Europa continentale e che pilota l’evoluzione del diritto pubblico-statuale sino alla composizione delle Costituzioni democratiche del Novecento, senza scontare – Hannah Arendt lo aveva ben intuito – le solenni dichiarazioni dei diritti umani fondamentali.
La paternità filosofico-politica di un simile tracciato è senz’altro molteplice. Per semplicità, è tuttavia possibile ricondurre a Thomas Hobbes la responsabilità di aver per primo scavato quel solco inaugurale dentro il quale il programma politico della nostra modernità integralmente si sviluppa. La sua teoria della fondazione dell’ordine sovrano – seguita a ruota da altri esponenti del contrattualismo (John Locke, Jean Jacques Rousseau) – descrive nei termini di uno scambio ciò che, ai nostri occhi, pare funzionare secondo l’economia di un esproprio: gli individui sacrificano la propria capacità di azione politica in favore di una persona sovrano-rappresentativa per ottenere, in cambio, diritto. Si suppone così una dialettica (ante-Hegel) del riconoscimento. Soltanto riconoscendo l’Uno del Sovrano si è infatti riconosciuti come soggetti di diritto. Ergo, il diritto è unilateralmente concesso, garantito, predisposto dall’alto di un ordinamento che trascende il tessuto dei rapporti sociali istituendo, una volta per tutte, la partizione Stato-società civile, pubblico-privato, nella quale, ancora oggi, a fatica ci muoviamo.
Le filiere del comando
Per rilanciare in maniera efficace un’analisi critica di questo insieme di dispositivi nella nostra contemporaneità occorre senz’altro recuperare una preziosa indicazione di Marx e sostenere che la critica del diritto non possa procedere su binari indipendenti da quelli di una critica dell’economia politica. Una simile lente ci consente di prendere coscienza di un ulteriore dato di fatto. L’architettura giuridico-istituzionale, che una certa tradizione pubblicistica – da Hobbes a Carl Schmitt – ci ha lasciato in eredità, si dà oggi come profondamente perturbata e messa in crisi nelle trasformazioni imposte dal paradigma di governo neoliberale. Finanziarizzazione dell’economia, implemento della governance a livello globale e de-sovranizzazione delle politiche, economiche e non, sono gli esempi più lampanti di come il neoliberismo investa i nostri edifici giuridici, causandone la più frenetica frammentazione. La lacerazione dell’impianto formale degli istituti del diritto pubblico – la cui crisi ha radici già tardo-ottocentesche – appare oggi evidente a fronte delle tensioni che spingono al superamento del criterio territoriale della sovranità. La de-gerarchizzazione delle fonti normative che ne consegue, soprattutto a causa della ricomposizione sovranazionale delle filiere del comando capitalistico – in agenzie il cui ruolo non può essere allocato né nel pubblico né nel privato – scompagina l’assetto unitario del diritto che le categorie tradizionali della scienza giuridica avevano scrupolosamente confezionato. L’universalità normativa del nomos si sperimenta inoltre come insufficiente nel tentativo di governare l’eccedenza dei conflitti sociali che permeano, dall’Europa al Maghreb alle Americhe, la superficie dello spazio globale.
Presa nel fuoco incrociato della de-territorializzazione dei flussi di capitale – con l’inevitabile riconfigurazione delle geografie del potere che comporta – della geometria variabile dei conflitti e della turbolenza di processi migratori ingovernabili, la stabilità del sistema-Stato incassa oggi il sostegno di retoriche politiche di grande ambiguità. Esse oscillano tra l’inassumibile riproposizione del modello sovranista dello Stato-nazione e la campagna reattiva di difesa della Costituzione bene comune, che pare insufficiente a cogliere ed affrontare la complessità dei processi di destrutturazione materiale del tessuto costituzionale in atto.
La trascendenza della norma
Due voci si sono recentemente distinte sulle pagine del «manifesto». Gli articoli di Giso Amendola e Luca Nivarra («il manifesto» del 09/01/2013 e del 10/01/2013) assegnano nuova centralità al dibattito su costituzionalismo e trasformazioni del diritto, condividendo un medesimo terreno di partenza: «siamo da tempo entrati in una fase post-costituzionale e, dunque, costituente». La produzione di normatività, ci dicono ciascuno a suo modo gli articoli, eccede sempre più sistematicamente i quadri di ordinamento costituzionale, decentrando, diluendo e precarizzando sempre più vorticosamente la pertinenza delle Carte fondamentali. Lo stesso impianto trascendentale della norma giuridica e l’astratta universalità del diritto retrocedono a fronte di processi di ricodificazione delle pratiche incarnate materialmente nelle trasformazioni che investono la società civile. La presa di posizione politica di cui si sottolinea l’urgenza appare, dunque, quella di affrontare le sfide poste dalle spinte neoliberali e dalle insorgenze dei movimenti sociali non sul terreno chiuso del costituito, ma sull’apertura creativa del costituente.
Tale è la prospettiva in cui si inscrive il percorso teorico e militante del collettivo UniNomade (uninomade.org), sviluppata in tutte le sue declinazioni nell’ultimo libro pubblicato nell’omonima collana da ombre corte, Il diritto del comune (a cura di Sandro Chignola, euro 20). All’interno di un itinerario che ha compreso la periodica organizzazione di seminari pubblici, UniNomade ha lavorato negli ultimi anni alla stesura di un complesso di materiali che rappresenta oggi uno degli strumenti più efficaci di lettura e critica della congiuntura politica contemporanea. Due tappe fondamentali che hanno segnato l’andamento di questo percorso sono state il seminario sul diritto del comune (Torino, 2011) e quello dedicato alla costituzione del comune (Roma, 2012) in cui il cardine della riflessione teorico-politica ha coniugato l’esigenza della decostruzione – nell’analisi critica delle trasformazioni dei paradigmi giuridici della contemporaneità – a quella del rafforzamento teorico delle pratiche di riappropriazione di un comune in grado di autoregolarsi come eccedenza rispetto ai quadri normativi costituiti. Soprattutto attorno alla piattaforma di lancio rappresentata dal seminario torinese si concentrano gli interventi raccolti ne Il diritto del comune. Tale occasione di riflessione collettiva si è infatti configurata come importante momento di confronto tra le analisi di tradizione post-operaista, raccolte principalmente attorno alla relazione di Toni Negri, e la ricerca condotta, negli ultimi anni, da Gunther Teubner e dai giuristi della sua scuola, alle quali va ad aggiungersi l’importante contributo, in materia di beni comuni e Rule of Law, di Ugo Mattei.
Una visione sistemica
Applicando le categorie della teoria critica dei sistemi luhmanniana alla teoria del diritto, Teubner sviluppa una convincente lettura delle frammentazioni che parcellizzano lo spazio sociale e giuridico nella globalizzazione, proponendo di scomporre il corpus unitario del diritto in un complesso di costituzioni civili che ne rifletta la configurazione poli-contestuale. Ciò che caratterizza l’attuale fisionomia delle società globalizzate, spiega Teubner, è la compresenza di «molteplici sottoinsiemi funzionali autonomi» che evadono lo spazio territoriale della sovranità per consolidare la propria auto-normazione su una scala immediatamente globale. L’epoca della globalizzazione, dunque, pare definire non tanto l’imposizione unidirezionale del modello unico della lex mercatoria, quanto piuttosto la diffusione policentrica e acefala di agenzie pubblico-private altamente specializzate. La soluzione in grado di far presa efficacemente sulla conformazione reticolare di questo nuovo ordine globale viene prospettata da Teubner nella forma di un costituzionalismo societale, espressione che indica la necessità di sostenere una «costituzionalizzazione dei processi spontanei della società civile». Si tratta, in altri termini, di chiudere una volta per tutte con il dualismo Stato-società, al fine di aprire ad una molteplicità di assetti giuridici autonomi nella formazione e paritari, interdipendenti, nella funzione. Contrariamente all’impianto tradizionale delle Costituzioni, la regolazione autonoma dei sottosistemi sociali ipotizzata da Teubner, disloca, moltiplicandola all’interno di ogni segmento funzionale, la partizione pubblico-privato affievolendone, sotto il profilo giuridico, la distinzione. L’evoluzione del diritto dovrà pertanto riflettere la poli-contestualità strutturata dei contesti sociali, codificando e ricodificando le geometrie mutevoli dei loro assetti.
Soggettività eccedenti
In una simile articolazione teorica la riflessione di UniNomade riconosce un significativo apparato di strumenti utili alla messa in questione del nostro presente, pur rilanciando, tuttavia, la critica del diritto ad un livello ulteriore. Se la denuncia dell’impianto policontestuale della realtà assume, da un lato, caratteri che richiamano da vicino la descrizione dell’architettura multipolare del comando globale definita da Michael Hardt e Toni Negri nei termini di Impero, dall’altro, si sottolinea un’insufficienza di fondo rispetto alla valorizzazione della produzione eccedente di soggettività e di relazioni – del comune – che si organizza nella cooperazione sociale, nelle lotte e come composizione del lavoro vivo contemporaneo. È la nozione di comune, si ribatte, a scardinare definitivamente il dualismo della contrapposizione diritto pubblico-diritto privato. Liberato dalla sussunzione formale capitalistica esso sfugge a qualsiasi logica appropriativa, non potendo essere accumulato o trasferito, ma semplicemente ed immediatamente goduto e condiviso – come ricorda anche Mattei, il comune, non essendo un oggetto, non può neppure essere governato.
Attorno al comune dovrà incarnarsi, dunque, un’idea differente di diritto. Essa dovrà transitare necessariamente attraverso la composizione di una nuova istituzionalità costituente in grado di accompagnare traiettorie soggettive di condivisione del progetto di autogoverno. L’orizzonte teorico all’interno del quale UniNomade intende rilanciare oggi la critica del diritto si dispiega pertanto nel tentativo di pensare una collocazione possibile al di fuori delle cornici dello Stato e della Costituzione, immaginando nuove istituzioni che possano organizzare dall’interno le pratiche della vita in comune. Come il diritto possa tradurre materialmente la potenza costituente delle moltitudini, sfuggendo ad ogni pretesa di normazione a priori e dall’alto, resta questione aperta. Questione che, tuttavia, grazie alla sfida lanciata con Il diritto del comune, conquista con rigore le proprie chances teoriche.
* Pubblicato su “il manifesto”, 23 gennaio 2013.