Intervista a Giso Amendola su risultato elettorale, crisi e ingovernabilità politica
di RADIO UNINOMADE
L’ingovernabilità segna un deciso avanzamento nella frantumazione della rappresentanza…
Oggi il processo di crisi della rappresentanza e la difficoltà della governance della crisi economica si innestano l’uno sull’altro: fenomeno ampiamente prevedibile, ma che va sempre più accelerandosi. Non che la rappresentanza godesse di buona salute e ne emerga solo ora la frammentazione: si tratta evidentemente di un processo di lunga durata. Ma la novità è che questa accelerazione della sua crisi segue l’esperienza del governo tecnico. La bocciatura del governo tecnico apre un quadro nel quale la tensione tra governance finanziaria e le resistenze che continuamente incontra si fa fortissima, e sempre più diretta: un faccia a faccia che nessuno spazio rappresentativo può ormai minimamente articolare. Una bocciatura radicale del governo Monti: ci sono molti tratti da indagare incerti, contraddittori, in questo tsunami che è passato (per dirla con Grillo, che sicuramente aveva indovinato il nome del suo tour elettorale) che come uno tsunami trascina a terra materiali di ogni tipo e provenienza, ma di certo questa sonora bocciatura porta alla luce un voto antiausterity.
Perché antiausterity il voto al 5 stelle? Non è neanche tanto in questione il programma del movimento, ma sicuramente, nella funzione politica generale che il voto ha assunto, la protesta contro le politiche dell’austerity ha avuto un ruolo essenziale. Ma è un voto antiausterity anche quello che ha prodotto la rimonta della destra: che è certo il voto di una borghesia proprietaria che nella crisi non vuole rinunciare a nulla, che declina l’opposizione alle politiche di rigore in egoismo e in gretto nazionalismo. Ma in buona parte d’Italia, e in particolare al sud, dove la questione fiscale agitata da Berlusconi si innesta su una situazione sociale in fortissima sofferenza, lo stesso voto a destra lascia trasparire anche un movimento di ribellione di più difficile collocazione. Una ribellione degli esclusi che utilizza il voto a destra, probabilmente perché sa – e non a torto – che il welfare dell’equità promesso da Bersani li lascia scoperti, non li riguarda, mentre la sinistra del rigore e delle tasse grava anche su di loro.
In sintesi: l’ingovernabilità italiana è comprensibile come un ulteriore segno del rifiuto dei paese del Sud Europa delle politiche d’austerity,
Intorno alla lettura di questo contesto, complesso e in parte problematico, spesso spuntano nel dibattito pubblico riferimenti al “populismo”…
L’analisi in termini di populismo spesso adotta categorie così generiche da poter essere tranquillamente rovesciate su chi le utilizza: mi sembra che ci sia stato, specie a sinistra, un uso populistico della categoria del populismo. Per esempio: tutte le volte che si pensa di uscire dalla crisi della rappresentanza attraverso i soliti accorati appelli alla unione sacra delle forze sane e responsabili del paese, non si torna ad avere a che fare con una idea di unità popolo aldilà dei conflitti, degli scontri, delle differenze, e quindi proprio con quella idea sintetica di popolo sovrano che è propria del populismo? E i governi tecnici, i governi del presidente, non sono un aspetto di un animale che potremmo chiamare populismo, anche quando magari usano come giustificazione il dover far argine al populismo o all’antipolitica? E soprattutto: il tono “neosocialista” rispolverato da bersaniani, vendoliani e dintorni in quest’occasione, l’uso che si è fatto di slogan piuttosto vuoti come il richiamo ad una “nuova centralità del lavoro, o il ritorno alla grande di retoriche stataliste e sovraniste, non è stato precisamente una riattivazione ultraretorica della tradizione populistica che ha impregnato così larga parte della storia del PCI? Anche la “difesa della costituzione” assume oggi quasi sempre un tono populistico, nel momento in cui non si guardano le trasformazioni i conflitti, i nodi, le differenze che stanno dietro un’astratta fedeltà all’antica mediazione costituzionale.. Certamente, il fenomeno Grillo ci apre un terreno ruvido: i rischi che la natura reticolare e orizzontale del movimento si rovesci in leaderismo autoritario sono stati bene indagati da molti. Ma fa un po’ ridere che proprio una sinistra, che non ha trovato di meglio che rispolverare tutto l’armamentario della reductio ad unum in nome del Popolo, dello Stato e della Sovranità usi a mano bassa l’accusa di populismo. Questo uso populistico dell’accusa di populismo svela piuttosto un vuoto di analisi della classe dirigente della sinistre di tutte le sfumature. Che poi, per ulteriore contrappasso, al peggior populismo esplicito spesso si sono affidate: pensiamo a quello che è accaduto con la lista Ingroia, che trasudava populismo giudiziario. Dalla bassezza politica e morale del quale, sinceramente, non mi permetterei di dare del populista a nessuno!
Eviterei l’utilizzo generalizzato di questo tipo di categorie: sulla composizione del grillismo andrà fatto un discorso differenziato, un mondo eterogeneo in cui di certo c’è anche il quella precarizzazione diffusa che abbiamo incontrato nell’onda, nei movimento studenteschi.
Bisognerà poi capire se la scelta di entrare, per questo movimento, nel campo della rappresentanza sarà una scelta che rafforzerà o finirà per bloccare il movimento, e per consegnarlo alle stesse difficoltà che nel campo rappresentativo si incontrano: come insomma potrà trasformarsi questo tipo di movimento una volta che è entrato nel campo della rappresentanza.
Si apre per tutti/e un grande campo di conflitto, una grande sfida. Come interagire e tenere aperto lo scenario delle lotte?
In termini molto generali, direi che era perfettamente prevedibile, bisognava esserne consapevoli, che nel momento in cui si apriva una forte destabilizzazione, dovuta all’incapacità delle forze che impongono l’austerity di controllare e governare i processi stessi pongono, nel momento in cui si aprivano dei no, delle resistenze, sul fronte sud soprattutto, (questo voto – ripeto – si colloca essenzialmente dentro queste resistenze del fronte sud), queste resistenze non potevano darsi come lineari. Le lotte contro l’austerity hanno il rischio di incontrare continuamente buchi neri: in altri scenari europei – altro che populismo! – si sono manifestati buchi neri di estrema destra, dove la bandiera dell’anti-austerity viene raccolta da posizioni di chiusura ultranazionaliste e ultrasovraniste. Questo tipo di rischi c’è, ma è chiaro che confrontarsi con il movimento a 5 stelle, leggerlo, aprirlo, scomporlo, incalzarlo è cosa che va fatta, sapendo che le lotte dell’austerity sono lotte che non possiamo sceglierci fior da fiore. Però hic Rhodus, hic salta, non c’è altro terreno per i movimenti che attraversare questa situazione di frantumazione, cercando modalità di ricomposizione politica e organizzativa che vadano oltre le proposte che il movimento 5 stelle per ora mette in campo, e oltre ogni tentazione di ricomposizione partitico-rappresentativa. Non vedo che altro si possa fare se non girare in positivo questa situazione, guardare agli aspetti positivi che esistono pure in mezzo alle striature, certo senza alcuna illusione di possibili passaggi lineari tra frammentazione della rappresentanza e apertura di reali processi costituenti. Al tempo stesso, va anche salutata con soddisfazione la fine di quell’altra illusione di linearità, quella cioè che le battaglie di radicalità potessero essere coniugate in qualche modo anche all’interno delle governance e della rappresentanza, le illusioni o gli opportunismi della sinistra radicale di ogni ordine e grado, di cui credo non sentiremo la mancanza. Erano posizioni che residuali erano all’inizio e residuali si sono rivelate alla fine. Il campo è libero, da questo punto di vista.
Ci aspetta, dunque, un stile di militanza adeguato al tempo della crisi, qualche battuta finale…
Direi che possiamo lasciare la depressione e le invettive contro il popolo sbagliato e l’Italia ingrata agli orfani delle sinistre, agli ossessionati dal Cavaliere. E’ evidente che le difficoltà ci sono, ma è anche evidente che in una situazione di questo tipo, esistono le potenzialità per movimenti che vogliano, dentro la crisi dell’austerity, salvaguardare e rafforzare la propria esternità alla governance e alle rappresentanze come occasione di elaborazione e sperimentazione politica. Le possibilità oggi di lavorare sul fronte Sud della rottura delle politiche dell’austerity sono molto alte, per elaborare una lotta politica per una Europa che non sia l’Europa Atlantica e tecnocratica.